Recensione: Il filo di luce - Valeria Montaldi

marzo 08, 2022

Un libro che vi farà immergere completamente nella Milano del Quattrocento, tra miseria e nobiltà, tra duchi e Visconti, in cui la strada da percorrere è irta di spine e difficoltà, dove la sofferenza e il duro lavoro riescono a ripagare in parte dei sacrifici che sono stati fatti. La storia di Margherita, tra un chiaroscuro di luci ed ombre, si staglierà di fronte ai vostri occhi, illuminando quel filo di luce che porterà amore e speranza nella sua vita.
 

Titolo: Il filo di luce
Autore: Valeria Montaldi
Genere: Narrativa storica
Editore: Rizzoli

 

 

Trama

 

Ducato di Milano, 1447. Mentre il popolo festeggia la morte di Filippo Maria – l’ultimo, tirannico duca Visconti – e si apre la lotta per la successione, anche Margherita combatte la sua personale battaglia: una battaglia che le permetta di riscrivere un destino già segnato da troppi soprusi. Orfana di una carcerata e allevata da una donna che non si fa scrupolo di vendere il suo corpo di bambina, Margherita è una reietta della società. Fino all’incontro con Elide, conversa all’Ospitale della Colombetta, che le insegna i rudimenti della lavorazione della seta. È così che la sua sorte cambia per sempre, perché applicandosi con dedizione a quest’arte raffinatissima, Margherita troverà la forza per emanciparsi dalle ingiustizie riservate al suo sesso. In un mondo dominato dagli uomini, diventerà un’abile tessitrice, capace di lavorare la seta e i tessuti più preziosi, e avrà il coraggio di vivere un amore considerato impossibile. Arriverà a condurre una delle più importanti manifatture tessili di Milano, ma non lo farà da sola. Insieme a lei, una vera e propria confraternita tutta al femminile, composta da alcune tra le donne più influenti della città, decise a non restare nell’ombra. Valeria Montaldi, maestra del genere, firma un romanzo storico sorprendentemente attuale, una storia di riscatto e solidarietà sul palcoscenico di una Milano sforzesca che non è mai sembrata così viva. Una città dove è possibile che anche la più umile delle popolane diventi padrona della propria vita.

 

 

Recensione

 

La penna di Valeria Montaldi ha dato vita a “Il filo di luce”, una storia malinconica, ma al contempo impregnata di una flebile e debole speranza, destinata a rafforzarsi man mano che il racconto va avanti, intrecciandosi coi fili del destino della giovane Margherita e di tutto ciò che la attende. Nella Milano del Quattrocento, il contesto storico-sociale è tutt’altro che stabile: la situazione precaria e in alcuni casi deplorevole del popolo si scontra con il benessere e le ricchezze delle nobili famiglie aristocratiche che detengono il potere, tra congiure di palazzo e attentati orditi ai danni dei potenti. Un’antitesi tanto potente quanto spregevole, un’insensata guerra tra fame e ricchezza, in cui il prezzo più alto lo pagano gli innocenti.

 

Un vagito risuonò flebile nella cella. Giacinta allargò le falde del suo scialle sdrucito, vi avvolse la piccola, se la strinse al petto e restituì il pugnale al carceriere.

 

Nel lontano dicembre del 1435, nel carcere della Malastalla a Milano, viene al mondo una nuova vita, una neonata il cui destino sarà segnato fin dalla nascita. Frutto di una violenza perpetrata e mascherata dietro un vile inganno, Giovannina dà alla luce la piccola Margherita, morendo subito dopo il parto. La bambina viene affidata alle cure dei Frati della Colombetta, i quali, ben presto, cercano di trovare una famiglia per la povera orfanella. Il caso vuole che Tebalda, moglie del mugnaio delle Pioppette, debba estinguere un debito contratto dal marito durante l’estate precedente e il priore, per cancellarlo definitivamente, le chiede di fare da balia alla bambina e di tenerla con sé per il tempo necessario ad allattarla.

 

Ma, come sempre, non è tutto oro ciò che è luce: Tebalda è costretta a tenersi la bambina contro la sua volontà. La povera Margherita cresce così, ingiuriata e calunniata da tutti, senza ricevere un briciolo di affetto: il mugnaio e sua moglie la considerano un peso gravoso sulle spalle, una zavorra da portarsi dietro, un fastidioso fardello da sopportare, una buona a nulla. Margherita è niente in quella casa: è invisibile agli occhi di tutti, è un soffio di vento di cui nessuno si accorge ma che è lì, presente, nel suo flebile alito di vita che nessuno sembra percepire. Il fato vuole che il marito e i figli di Tebalda muoiano qualche anno dopo per aver contratto la peste e che l’unica sopravvissuta, insieme alla matrigna, sia la giovane orfanella tanto odiata e denigrata da tutti. Cosa succederà a due donne completamente sole, nella Milano del Quattrocento, in balia delle avversità?

 

Incredibile come la scrittrice descriva, in maniera realistica e concreta il sentimento di disprezzo di Tebalda nei confronti di Margherita, alternandolo a deboli barlumi in cui il senso di colpa sembra farsi breccia in un cuore di pietra. La ragazza è ormai una giovane adolescente e deve rimboccarsi le maniche, insieme alla matrigna, per guadagnarsi il pane. Entrambe trovano lavoro alla taverna di un certo Gaudenzio: ben presto, però, la locanda diventa una sorta di bordello clandestino in cui Tebalda è costretta a prostituirsi e trascina nel baratro anche la povera Margherita, ancora troppo giovane per vendere il suo corpo. 

 

Un giorno, però, la nostra protagonista decide di scappare, abbandonando la locanda di Gaudenzio e l'insensibile matrigna. Purtroppo, la ragazza è sola al mondo e non sa dove andare: si presenta a bussare a casa di Elide, la conversa che, molti anni prima, aveva ceduto con malcelata diffidenza la stessa Margherita a Tebalda, quando era ancora una neonata. La donna è stupita dall’arrivo improvviso della giovane, dalla sua storia intrisa di violenza e decide di fare qualcosa: per aiutarla, le insegna il mestiere di sarta e le infonde amore, educazione e saggezza. Tra un filo e l’altro, la ragazza diventa una vera e propria maestra nell’arte del cucito e della tessitura e in pochissimo tempo arriva a lavorare in una delle più importanti manifatture di seta a Milano, quella appartenente a Niccolò Brivio. La vita inizierà finalmente a sorriderle?

 

<<Cosa vuol dire amorfa?>>

<<Vuole dire che è lì ferma e sembra morta. E invece basta sapere come fare, e lei si risveglia. È come se non aspettasse altro per riprendere vita: brillare nella trama di un tessuto, illuminare una reticella per capelli, impreziosire la cintura di un principe.>>

  

 

Al lavoro, la nostra protagonista si scontra nel migliore dei casi con un muro di indifferenza, con calunnie infamanti provenienti dal suo passato, con l’invidia delle altre tessitrici che faranno di tutto per scalzarla. Ma la forza indomita di Margherita, la flebile luce che sta iniziando a rischiarare la sua vita le danno il coraggio di sopportare tutto e di affrontare le avversità e le malelingue con determinazione. L’autrice descrive il carattere della ragazza in maniera eccellente e dettagliata, permettendo al lettore di entrare nel vivo delle emozioni e nel profondo dell’anima della protagonista. Ogni tratto è ben delineato, la personalità forte e indomita della giovane viene fuori in ogni pagina, insieme alla sua graduale evoluzione, che la porterà alla piena maturità.

 

Niccolò sorrise. Margherita non finirà mai di stupirlo: l’acume che dimostrava in ogni occasione e la pacatezza con cui ultimamente esprimeva le proprie condizioni erano frutto di una ragazza nuova, conquistata a duro prezzo. Si augurava che non le sarebbe mai venuta meno, qualunque cosa dovesse ancora accadere.

 

La vera di luce di Margherita inizia a brillare grazie anche alla forza dell’amore, quello vero, nei confronti di Niccolò Brivio. No, non storcete la bocca: pur essendo lui il suo datore di lavoro, il loro sentimento è quanto di più genuino e sincero si possa desiderare. Valeria Montaldi dipinge con delicatezza e un’intensità senza precedenti il rapporto tra la protagonista e il suo amato: entrambi sembrano appartenersi da sempre, le loro anime si intrecciano l’una all’altra in una storia intrisa di passione e dolcezza, di rispetto e fiducia reciproca.  Niccolò fornisce a Margherita la possibilità di riscattarsi da un passato buio ed oscuro, emergendo finalmente in tutta la sua bellezza non soltanto fisica ma anche morale.

 

<<Sapete,>> disse sfiorando la filigrana d’oro che componeva i petali della margherita <<questo fiore dall’apparenza tanto delicata possiede una forza indomabile: sopporta il vento, ripiega i propri petali fino al cessare della tempesta e poi, al primo raggio di sole, le riapre e se ne fa accarezzare. Dovete essere come la corolla di cui portate il nome: resistete e continuate a combattere.>>

 

Alla figura di Margherita si affianca quella di un’altra donna altrettanto caparbia e determinata, dalla forza e dal coraggio senza eguali: sto parlando di Elisabetta Visconti, moglie di Cicco Simonetta, appartenente ad una delle famiglie più nobili di questo periodo storico. La nobildonna sente fin dal principio una grande ammirazione nei confronti della giovane tessitrice, tanto che decide di aiutarla nella sua attività. Il tempo scorre inclemente e tiranno, portando con sé innumerevoli disgrazie, ma le due donne rimarranno unite l’una all’altra, come vere sorelle. Insieme daranno inizio a una sorta di confraternita tutta al femminile nel mondo della tessitura, creando una vera e propria impresa su cui troneggia impavida la figura della Visconti, affiancata dall’indomita forza della bellissima Margherita.

 

<<Il filo di luce,>> disse <<un miracolo nato dalla terra e perfezionato dalle mani dell’uomo. Sono state queste le parole che ha usato tanti anni fa vostro marito, quando mi ha messo in mano uno di questi stami.>>

 

Ho ammirato il modo in cui la scrittrice ha descritto ogni personaggio del romanzo: ognuno di loro ha un ruolo prestabilito e ben definito da portare a termine. Ho amato Elide e la sua dolcezza, ho disprezzato la mancanza di amore da parte di Tebalda, ho sofferto insieme a Margherita e alla sua deplorevole condizione, sentendo il dolore della giovane sulla mia pelle. Ma ancora di più ho apprezzato il fatto che Valeria Montaldi abbia voluto dare importanza alla figura femminile all’interno del suo romanzo: Margherita, Elisabetta Visconti, Teresa e molte altre sono esempi di signore che, nella Milano sforzesca di fine Quattrocento, si mettono alla prova investendo in un’attività manifatturiera fino a quel momento destinata principalmente agli uomini, ottenendo grande successo. Sono esempi da imitare, il loro coraggio deve servire da motivazione per tutte coloro che si sentono impotenti in una società spietatamente maschilista e poco incline a riconoscere pari dignità alle donne.

 

Il filo di luce di cui si parla all’interno del romanzo, a mio avviso, è sempre presente e guida fin dalla nascita il percorso della giovane Margherita. Inizialmente è adombrato dal dolore, dalla bruttezza e dalle infamie che la ragazza è costretta a sopportare, dall’ombra di Tebalda, dal fantasma di Gaudenzio e dei clienti della locanda che vogliono approfittare della sua innocenza. Man mano che il tempo scorre, la luce inizia a farsi spazio e a brillare sempre più forte: quella luce è la speranza di una vita migliore che Elide ha donato alla ragazza, quasi per riscattarsi di averla consegnata alla moglie del mugnaio molti anni prima. L’amore di Niccolò, la fiducia e la benevolenza di Elisabetta Visconti la portano a risultati inaspettati e finalmente Margherita può mostrare a tutti il suo splendore. Perché è questo che è Margherita, un diamante allo stato grezzo, che non aspetta altro di essere incastonato in un prezioso anello per poter brillare ed esprimere tutte le sue infinite qualità.

 

Un romanzo in cui l’autrice, con un linguaggio immediato, curato ed impeccabile, affronta tematiche importanti: la violenza sulle donne e quell’alone scuro di diffidenza che circonda qualsiasi idea possa essere frutto di una visione femminile del mondo. Un libro molto attuale, pur essendo ambientato in un periodo storico molto lontano, perché purtroppo queste problematiche sono ancora presenti nella società odierna e sono molto difficili da sradicare. La strada è lunga, rispetto al passato sono stati fatti dei passi avanti ma non sono affatto sufficienti per riscattare e rendere la donna una figura pari a quella dell’uomo.

 

<<La paura non appartiene al sesso che ci è stato dato in sorte>> commentò la Visconti. <<Sarà perché sopportiamo il dolore che ci squarta quando mettiamo al mondo i figli, sarà perché tolleriamo con pazienza i tradimenti che i nostri uomini si illudono di nasconderci, ma sono convinta che la tenacia che ci anima sia ben più forte di quella che loro credono di mostrare, a noi e al mondo intero.>>

 

Encomiabile il lavoro di ricerca che la scrittrice ha attuato nella stesura del romanzo: a partire da una terminologia tecnica e mirata del linguaggio appartenente all’ambito della tessitura, si passa al perfetto quadro storico e politico della Milano sforzesca di fine Quattrocento. Il punto di forza di questo romanzo è proprio la veridicità: i personaggi sono verosimili, dipinti con un’intensità e una delicatezza che pochi autori possiedono. Margherita è un personaggio inventato, frutto della fantasia dell’autrice, ma non per questo meno “vero” di una Elisabetta Visconti, storicamente esistita. La vita non è una passeggiata, per chiunque, è spesso inclemente nei confronti di chi meriterebbe amore e giustizia. Quel filo di luce di cui parla Valeria Montaldi non deve mai essere spezzato: esso rappresenta metaforicamente il nostro percorso, dobbiamo avere il coraggio di intraprenderlo, continuare a nutrire i nostri sogni e prendercene cura, per renderlo ancora più prezioso di quanto sia. È il nostro faro nel buio, ciò che ci rende più veri, la parte più profonda della nostra essenza: è la nostra speranza e la speranza, si sa, è sempre l’ultima a morire.

 















 

 

 

 

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