Recensione: 2 anni alla scadenza - Silvia Civano

dicembre 08, 2021

Un libro divertente, ironico e frizzante, che al contempo fa riflettere il lettore su una tematica importante, molto spesso sottovalutata: l’accettazione di sé. Non è affatto facile prendere coscienza dei propri pregi e difetti, amarli ed apprezzarli, è un percorso che dura un’intera vita e non sempre si rivela semplice... riuscirà a portarlo a termine la nostra Debby?

 

Titolo: 2 anni alla scadenza
Autore: Silvia Civano
Genere: Chick lit
Editore: Self Publishing

 

Trama

 

Caro diario. Mi chiamo Debby, ho trentun anni e vivo a Genova. Perché tenere un diario dopo aver superato i trenta? Idea della mia psicologa. Già. Vado dalla psicologa da un po’ di anni. Ormai la chiamo per nome. Sara mi ha detto di prendere un diario della durata di due anni per annotare le mie evoluzioni amorose. A quanto pare le mie storie hanno tutte la scadenza regolata sui ventiquattro mesi. E’ come se impostassi un orologio, un timer, non so. Fatto sta che scaduti i due anni, scade il ragazzo, come fosse un cartoccio di latte andato a male. Cioè, all’inizio sono tutti principi azzurri; poi, non so come, si trasformano sempre in orchi cattivi che le fanciulle le rapiscono per sbatterle nella torre, non per salvarle. Le intrappolano, le fanno sentire in gabbia.

 

Propositi per il 2018:

1.       Rimanere single per almeno qualche mese.

2.       Tenere un lavoro per più di un anno.

3.       Fare un tatuaggio.

Ostacoli nel 2018:

1.       Ho conosciuto Samuel.

2.       Perché il mio capo non sopporta Sammy?

3.       Ho paura di ciò che è permanente. Meglio il septum.

 

 

Recensione

 

Caro diario,

sono Rachel e ho trentun anni. Ah, dimenticavo, non devo parlarvi di me, ma di Debby, la protagonista del romanzo di Silvia Civano, “2 anni alla scadenza”. Sì, alla scadenza del cartone del latte, ehm… delle storie d’amore di Deb. Perché ogni due anni scadono e sono da buttare via, come un alimento andato a male. E io sono intollerante al lattosio, veramente. Come inizialmente lo ero a Debby. Forse lo ero perché in lei vedevo riflessa me stessa, i miei stessi difetti, le mie stesse paure. Come direbbe Silvia: “C’è un po’ di Deb in ognuno di noi” … in me soprattutto! È stato così facile immedesimarmi in questo personaggio divertente ed originale che quasi ho perso la cognizione del tempo leggendo questo libro. L’autrice, ancora una volta, mi ha stupito, facendomi sorridere e contemporaneamente riflettere su alcuni miei comportamenti e sono sicura che, se leggerete anche voi questo splendido romanzo, non potrete fare a meno di rivedervi nella protagonista.

 

Debby è una giovane trentunenne che vive nella meravigliosa città di Genova e proviene da un alto ceto sociale… ma solo di nome! La famiglia Tossani-Pini non le è mai appartenuta fino in fondo: due genitori completamente assenti, troppo immersi nelle loro attività quotidiane e in una finta ricchezza che li ha abbagliati a tal punto di dimenticarsi di avere una figlia. Forse sarebbe meglio dire che una figlia così non l’avrebbero mai voluta! Ma sono pronta a scommettere che anche Deb non avrebbe mai desiderato avere una famiglia così distante e superficiale.

 

<<La trappola sei tu, esci dalla trappola che ti sei creata e vivi>>

 

La nostra Deborah è una ragazza solare e allegra, fin troppo eccentrica e originale. Deborah con l’H, perché quando la giovane si è presentata all’anagrafe per cambiare nome hanno sbagliato ad inserirla. Tutto perché, quando è nata, la protagonista è stata vittima di una madre e di una zia tanto “crudeli” e spietate da piazzarle “Luisella”, solo per una stupida tradizione di famiglia per cui ogni figlia avrebbe dovuto avere un nome che iniziasse con la sillaba Lu. Tipo Lu&Lu. Esatto, proprio così. Sembra più un’affiliazione, l’insegna di una società finanziaria che la motivazione per chiamare una persona in un determinato modo. Nulla contro il nome Luisella, per carità, ma è il gesto che innervosisce. Non scelgono il nome perché a loro piace, ma perché DEVE ESSERE QUELLO.

 

Tutti i miei ex erano più bravi di me. Io li seguivo nelle loro attività, però ogni cosa mi riusciva in modo mediocre. La verità è che non mi sono mai strappata di dosso la sensazione di non saper far nulla.

 

Fin dalla nascita, la povera Deborah vive in una famiglia che non la considera, è costretta a fare da tappezzeria alla perfetta e perfida cugina Luana e deve ingegnarsi per trovare il modo di emergere ed essere in qualche modo apprezzata. E così diventa la classica ragazza ribelle, che si tinge i capelli di rosa, che fa il septum al naso (o “spetum”, come lo definirebbe l’adorata cuginetta) e crea i suoi vestiti da sola, scegliendone le stoffe tra quelle più colorate delle bancarelle dei mercatini. Originale, vero? Io ammirerei moltissimo una persona così, ma in una famiglia come la sua, definire Debby un “pesce fuor d’acqua” è riduttivo: magari, un salmone che rimonta la corrente sarebbe più adatto per definirla. E quella corrente che tenta di spazzarla via, ostacolandola a tutti i costi, è proprio la sua famiglia. Piuttosto che schiacciarla e denigrarla, dovrebbero incoraggiarla ad essere la splendida persona che è, non facendole mai mancare il loro affetto ed appoggio, ma a quanto pare, chissà perché, non è mai stato così…

 

<<Ti senti vecchia? È per questo che tingi i capelli di rosa e vesti come una bomboniera>>.

Posa lo sguardo sulle mie scarpe lilla.

Mi impongo di non abboccare. <<Il segreto è indossare le rughe come fossero un tailleur di Chanel>>.

 

Più va avanti con gli anni, più la ragazza tenta di distaccarsi dai suoi parenti non solo dal punto di vista “fisico”, con vestiti stravaganti e tagli particolari ai capelli, ma anche da quello “morale”, prendendo le distanze dagli atteggiamenti scortesi e maleducati della zia, della madre e della cugina. E questo la porta a chiudersi sempre di più in sé stessa, adottando comportamenti ribelli per distinguersi dalla massa informe e piatta che la circonda, fatta di gente che pensa soltanto ad adeguarsi a un determinato ceto sociale. Ma sarà davvero così? E se dietro questa voglia di emergere ci fosse un disperato bisogno di attirare l’attenzione su di sé, per ricevere un minimo di considerazione da parte della famiglia?

 

<<Sei spesso distratta sul lavoro?>>, mi chiede lui senza staccarmi gli occhi scuri di dosso. Ha occhi penetranti. Sembra lo sguardo di un rapace incazzato.

<<No. Assolutamente… Gigi il Matto era… beh… era matto>>, bofonchio. <<Un giorno se l’era presa per una stupidata>>.

<<Cosa avevi fatto?>>, indaga.

<<Avevo cipollato la caramella>>, rispondo troppo velocemente. Gli sfugge un sorriso. Rapidissimo, poi torna super serio. <<Non deve essere stata un’impresa semplice>>.

<<Intendevo dire che stavo caramellando una cipolla>>, mi correggo. Ma ormai so che il danno è fatto, sembro più stupida di quanto non sia in realtà.

 

Debby è un personaggio complesso, dalle numerose sfaccettature, come un cubo di Rubik dai mille colori che si incastrano mirabilmente tra di loro. Silvia Civano descrive perfettamente la personalità della protagonista, mostrando ogni sfumatura del suo brillante carattere. Perché Deb è così, un po’ “Cenerentola”, un po’ Bridget Jones. Al posto delle sorellastre abbiamo la zia, la perfida cugina Luana e una famiglia altezzosa e superficiale, che si preoccupa soltanto delle apparenze. E per quanto riguarda Bridget Jones, al posto dei vari Daniel Cleaver o degli ipotetici Mr Darcy, ci sono falsi principi che si spacciano per “azzurri”, ma in realtà sono tra i peggiori casi umani che una ragazza possa avere la sfortuna di incontrare. E il primo incontro con Alessandro, il proprietario del Prismatico, suo futuro datore di lavoro… ne vogliamo parlare? Un colloquio ESILARANTE, in cui la giovane protagonista dice apertamente, quasi senza rendersene conto, tutto ciò che le passa per la testa. La nostra Debby, a Bridget Jones, le fa un baffo con il suo spiccato senso dell’umorismo, carica magnetica attira-casi-umani e apparente goffaggine. Come non amarla? 

 

<<Però, dai… servire l’aperitivo alle tre mi faceva sentire un’anziana con la sindrome da Peter Pan>>. Niente, non ce la faccio proprio a dire la cosa giusta. <<Un Peter Pan alcolizzato>>, aggiungo per chiudere in bellezza. Alessandro mi squadra con la fronte aggrottata. <<Mi sembri un po’ un caso umano, tu>>.

<<Ah, beh. Se è per questo gli uomini sono casi umani per diritto di nascita>>, ribatto stizzita.

E capisco che mi sbagliavo. E con questa frase che chiudo in bellezza.

Dalla sua espressione mi rendo conto che il colloquio è concluso.

 

Tutto questo porta la nostra protagonista a ricercare nei suoi fidanzati l’approvazione che da sempre le è stata negata, adeguandosi in tutto e per tutto ai loro caratteri. Inizia sempre così, una Deb entusiasta del suo nuovo “Principe Azzurro” che, puntualmente, si trasforma in un orco cattivo nel giro di due anni. Ma questa volta sembra essere tutto diverso: ora Debby ha un bel lavoro come cameriera al Prismatico, uno dei locali più originali della città, (un obiettivo della sua lista lo ha realizzato!) e il principe in questione porta il nome di Sam, appena arrivato su un cavallo bianco (bianco come il cartone del latte, le avvisaglie ci sono!). Ovviamente, la nostra cameriera se lo sogna di salire in groppa al destriero col suo nobile cavaliere, deve seguirlo a piedi… e sembra pure esserne contenta! Dopo un po’ di tempo (mooooolto tempo, come direbbero i suoi migliori amici Ginevra e Daniele) la nostra Deb comincia ad avvertire i primi campanelli d’allarme e iniziano a frullarle in testa tante domande: “Cosa mi sta succedendo? Perché ora non mi piacciono più i miei vestiti dai colori sgargianti e i capelli rosa?” Ma non è nulla, per la nostra protagonista è semplicemente una “nuova versione di sé stessa” che si sta facendo spazio per venire fuori, con abiti più sobri e… grigi. Che poi, il grigio è un colore meraviglioso, vero? Piace molto anche alla sua famiglia e a quella del meraviglioso e ricco fidanzato, anche lui proveniente da un alto ceto sociale… si starà trasformando di nuovo in un’altra persona, per l’ennesima volta?

 

Come prima uscita con scarpe firmate non è un grande successo. Gucci, Guess o Guendalina BlaBla. A me non è mai importato un fico secco delle marche. È mia madre quella fissata.  

 

La scadenza è stata raggiunta, i due anni sono trascorsi ed è ora di tirare le somme: affiancata dalla psicologa Sara e con l’appoggio insostituibile dei suoi migliori amici e di Alessandro, Debby riuscirà a rifiorire, iniziando una nuova vita. Silvia Civano ci ha regalato un romanzo allegro, divertente e brillante, come il carattere della protagonista. I personaggi sono ben delineati sia dal punto di vista fisico che psicologico e la trama è avvincente e ricca di colpi di scena. Il linguaggio è curato ed elegante, con un’ironia di fondo sottile e arguta, che rispecchia perfettamente l’esuberanza di Deb. L’autrice parla di tematiche importanti e profonde, come l’amicizia e l’accettazione di sé, in maniera adeguata e mai pesante, anzi, usa una “leggerezza” tale da rendere gli argomenti trattati quasi impalpabili, permettendo a chi legge di apprezzarli senza che la storia ne risulti in alcun modo appesantita. Un romanzo frizzante ed esilarante, dalle note sensibili e profonde, capace di toccare le corde dell’animo del lettore in maniera tenue e delicata, strappandogli anche un sorriso.  


Valutazione: 🌟🌟🌟🌟🌟


Rachel




 

 

 

 

    

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