Recensione: Bucaneve – Mélissa Da Costa
settembre 29, 2023Un romanzo scritto dalla celebre autrice Mélissa Da Costa, che narra le vicende della giovane Ambre, ragazza difficile che fatica a rapportarsi con la famiglia, poiché i genitori fanno del silenzio la loro arma letale. La storia d'amore con Philippe, uomo sposato, la porta a intraprendere un lavoro come cameriera stagionale in un resort ad Arvieux, nelle Alte Alpi Francesi, dove troverà altre persone con cui confrontarsi e tentare di rinascere.
Titolo: Bucaneve
Autore: Mélissa Da Costa
Genere: Narrativa
Editore: Rizzoli
Trama
Ambre ha vent’anni e la vita davanti a sé, ma non la vede. Da
un anno è l’amante ragazzina di un quarantenne, Philippe, professionista
affermato, padre di famiglia. Vive nell’appartamento che lui le ha messo a
disposizione, ma è un amore asfissiato che si nutre di scampoli di tempo.
Quando Ambre, sopraffatta dal vuoto, tenta di farla finita, Philippe è già
distante da quell’amore nuovo e salva il proprio imbarazzo offrendole una via
di fuga: le trova una sistemazione ad Arvieux, un paesino delle Alte Alpi francesi,
come cameriera stagionale in un albergo. In questa valle azzurra, dove la
montagna si presenta allo stato puro e le vetrine dei bar sono appannate dai
fumi della cioccolata, Ambre scopre un micromondo di sogni, fragilità,
entusiasmi, delusioni. Le persone che incontra hanno, come lei, dolori che
pesano e solitudini schierate come scudi. Persone come Tim, l’aiuto cuoco,
ventiduenne gay rifiutato dalla sua famiglia; come Rosalie, madre single di una
bambina di quattro mesi, che soffre di fobia dell’abbandono. Come Wilson, che
preferisce il rumore del vento tra i pini alla compagnia degli uomini. Giorno
dopo giorno, tra un turno in sala e una ciaspolata nei boschi di larici, tra
incomprensioni e risate leggere, Ambre mette piede nei loro silenzi ed esce dal
suo. Come accade quando, sulla superficie di neve invernale, protettiva e muta,
riaffiora la vita nei petali di un bucaneve. Racconto delicato e sincero
sull’amicizia, sulle seconde possibilità, sulle intermittenze del cuore,
immerso in un paesaggio potente e benefico, Bucaneve è, soprattutto, un inno al
coraggio di ricominciare.
Recensione
Dopo aver letto “I quaderni
botanici di Madame Lucie” e aver apprezzato lo stile e il modo di narrare le
storie tipico di Melissa Da Costa, sono stata immediatamente attratta da questo
libro. Non vi parlo di una questione estetica, ma di aspettative, aspettative
che sono state in parte deluse. Forse il fatto che “Bucaneve” è in realtà risalente
al 2016, prima degli altri due capolavori dell’autrice, influisce notevolmente:
ho intuito che la storia, a tratti, era più “acerba” rispetto agli altri suoi
precedenti romanzi. Certo, lo stile di scrittura si percepisce che è quello
della Da Costa, ma questa volta non mi ha particolarmente convinto…
La trama, di per sé, sembra
abbastanza articolata ma in realtà è piuttosto semplice, priva di eventi
davvero significativi: la storia di una ragazza di nome Ambre che inizia una
relazione complicata con un uomo sposato di nome Philippe. L’uomo, per tenere a
distanza la sua storia extraconiugale, affitta un appartamento per la giovane amante,
ma non le dona l’amore e l’affetto necessario di cui una ragazza, dal passato
burrascoso e un rapporto difficile con la famiglia, ha bisogno. Presa dallo
sconforto e da esperienze frutto di scelte sbagliate, Ambre tenta il suicidio,
sopraffatta dal dolore di un sentimento mai del tutto ricambiato fino in fondo.
Philippe, allora, decide di salvare il salvabile: trova un lavoro come
cameriera stagionale alla sua amante, in uno splendido resort ad Arvieux, un
paesino immerso nelle Alte Alpi Francesi. Fin qui, vi sembrerà che vada tutto
bene, ma questa necessità di silenzio, di stare da sola, di sentirsi utile
attraverso un lavoro, in realtà non è partita da una volontà della
protagonista, ma da un desiderio del suo amante, il quale sembra quasi volersi
disfare di un amore che, ormai, è diventato una zavorra (oppure lo è sempre
stato). In tutto questo, Ambre non ci vede nulla di strano, anzi, dato il
burrascoso e complicato rapporto che lei stessa ha da sempre avuto con la
famiglia, accetta queste scelte, riconoscendole come proprie.
Succedeva sempre così. Bastava che non passasse per qualche giorno e Ambre si chiudeva in se stessa. Ci volevano ore per tirarla su di morale, per convincerla ad abbandonarsi ancora tra le sue braccia.
Ambre incontra quella che
diventerà una sorta di “famiglia” per lei, per tutto il tempo che trascorrerà
in questo luogo meraviglioso: un gruppetto di persone, tutti provenienti da
situazioni complicate, ognuno con la propria peculiarità e le inerenti
difficoltà da affrontare. Ma in questo resort il tempo sembra scorrere in
maniera diversa, tutto appare troppo dilatato e ovattato, a tratti quasi
surreale: questi ragazzi, i quali dovrebbero lavorare nella struttura, non
hanno orari di lavoro e non hanno limiti, fanno un po’ come pare a loro, senza
preoccuparsi troppo di ciò che accade e del lavoro stesso. La realtà è diversa,
come noi ben sappiamo…
Ambre, durante questo soggiorno
di lavoro ad Arvieux, incontra Rosalie, una giovane ragazza madre con una
figlia di nome Sophie, Tim, un ragazzo gay di circa vent’anni e un giovane
italiano di nome Andrea, il cui personaggio, a mio avviso, ha poco da
raccontare. Questo romanzo è ricco di tematiche importanti e attuali, ma che,
personalmente, vengono affrontate in maniera non adeguata, vengono quasi “sminuite”
rispetto all’importanza che dovrebbero avere. Si dà poco spazio ai sentimenti
veri e, per dirla tutta, non ho visto né avvertito un grosso cambiamento
nell’animo della protagonista con l’evolversi della vicenda. Sarà per il
rapporto con la famiglia che Ambre è diventata così? I silenzi, in realtà,
valgono e possono ferire più di mille parole, oltre che portare a scelte
sbagliate.
La vita di noi stagionali è così...Siamo una famiglia, si finisce sempre per aver bisogno gli uni degli altri.
Ambre, contrariamente a quanto si
pensi, resta lì, ferma, senza mai evolversi davvero, per paura o per ritrosia,
anche questo non è ben chiaro. Senza parlare del suo carattere, a tratti
piuttosto irritante. Stessa cosa vale per gli altri personaggi, fatta eccezione
per la figura di un uomo anziano, Wilson, che, verso la parte finale del libro,
fa la sua comparsa e cerca di aiutare Ambre con la sua grande saggezza. Personalmente,
lo avrei valorizzato e approfondito molto di più rispetto a quanto ha fatto Mélissa
Da Costa. E i bucaneve? Sono fiori meravigliosi che, col loro bianco candore,
simboleggiano purezza, forza e rinascita, emergendo tra il freddo dell’inverno
e facendosi spazio negli angoli più angusti, come se fossero in grado di
sopravvivere quasi a tutto. I bucaneve dove sono in tutto questo? Faranno la
loro comparsa verso la fine del libro, appena citati.
In conclusione, non ho apprezzato
granché questo romanzo, forse perché avevo aspettative troppo alte. Il
confronto con gli altri libri che ho letto della scrittrice, “Tutto il blu
del cielo” e “I quaderni botanici di Madame Lucie” è quasi impietoso e la
differenza si avverte, eccome. Tuttavia, ammiro l’interesse che la Da Costa ha
avuto nell’avvicinarsi e nel trattare determinate tematiche, spesso ostiche e
ingiustamente dimenticate, ma lo ha fatto in maniera troppo semplicistica
arrivando quasi a banalizzarle. Nello stile di scrittura, però, si intravede
quella che sarà poi la grandezza, il punto di forza dell’autrice nei romanzi
successivi. Il libro, nonostante queste considerazioni, è abbastanza scorrevole
e si legge facilmente, ma non vi ho trovato l’idea di “evoluzione-rinascita”
presente negli altri romanzi dell’autrice. Ho trovato il tutto, a tratti,
troppo adolescenziale e poco “maturo”, per i miei gusti. Mi sarei aspettata
molto, molto di più.
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